La Ndrangheta è tra noi, bisogna prenderne atto e saperla osservare,
con metodo scientifico, indagandone le reali condizioni, i reali obiettivi,
senza farci influenzare da mitografie, rappresentazioni illusorie, facili
sottovalutazioni.
Nando Dalla Chiesa, professore di Sociologia della criminalità organizzata alla facoltà
di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano ci presenterà le sue
idee, contenute anche in un libro, Manifesto dell’antimafia, nel quale egli
afferma: si deve mettere a frutto quanto
abbiamo imparato in decenni di militanza politica e civile, come negli studi. Denunciare
le debolezze della società innocente tracciando le linee di una strategia generale
di contrasto alle presenza mafiose.
A quattro anni da quando l’ex Ministro Maroni, ora presidente di Regione
Lombardia, negava l’esistenza della mafia in Lombardia, ci siamo risvegliati in
una situazione nuova in cui l’innocenza è “perduta”. Ma non abbiamo ancora
trovato un linguaggio, una strategia, un modo di saper guardare alla realtà. Un
esponente di Libera Como ci ha detto qualche giorno fa: dobbiamo rivedere anche
il modo di fare l’antimafia, dobbiamo rivedere tutto il nostro approccio. Ecco,
noi questa sera proviamo a rivedere questo approccio, alla luce di una
conoscenza di impianto sociologico e scientifico di tale fenomeno.
Abbiamo deciso, come Partito democratico di Cantù, di lanciare un
segnale preciso, con questa iniziativa, ma anche con la precedente del 12
gennaio con il senatore Franco Mirabelli, capogruppo del PD in Commissione
parlamentare antimafia.
Cominciamo dal titolo della nostra iniziativa: E io dico No. Non vuole
essere un titolo parzialmente assolutorio, che mira a sottovalutare il fenomeno
della presenza della mafia nella nostra regione . I l fatto vero è che la
Ndrangheta non ha più bisogno di infiltrazioni, si è già insediata in Lombardia
e occupa pesantemente alcune parti della regione. La sua presenza è pervasiva.
Con il nostro titolo vogliamo alludere alla
nuova strategia che vediamo in atto. Non potendo puntare al grande business,
ormai, si assiste a un’operazione di immersione negli spazi minimi,
interstiziali, molecolari della società lombarda: i piccoli comuni, quelli in
cui la struttura della società civile è meno capace di reagire a una presenza
che incute paura e minaccia i cittadini.
Il vero titolo di questa nostra iniziativa è E io dico No, e proviene
da un’opera teatrale di Nando Dalla Chiesa, in scena al Piccolo Teatro di Milano
nei mesi scorsi; un’opera notevole, che deriva dal fenomeno dell’affermazione
della Ndrangheta in Lombardia.
Ora, chi decide di guardare in faccia questa realtà criminale può
essere preso da una vertigine. Per chi voglia fare finta di niente, basterebbe
adottare quanto dice Gabriele, un personaggio dell’opera teatrale di Dalla
Chiesa: una strategia per non vedere la
Ndrangheta: ”Istruzioni per non vedere la Ndrangheta: a) la propria Locale commette
reati in altri comuni, non la vedo nel mio comune; b) locali esterne commettono
reati nel mio comune, non è gente di qui; c) la propria Locale commette un
reato nel mio comune. Siamo sicuri che sia Ndrangheta? Con tutti i delinquenti
che ci sono… d) credo a ciò che vedo: gli zingari, i graffiti, il vandalismo
ecc… la Ndrangheta è “astratta”, non si vede.
Il fatto vero è che la Ndrangheta in Lombardia è come una peste, e come
tale si ha paura di riconoscerla. Pensiamo a come Manzoni ne descrisse il
riconoscimento nei Promessi sposi: “In principio dunque, non peste,
assolutamente no, per nessun conto; proibito anche proferire il vocabolo. Poi
febbri pestilenziali: l’idea s’ammette
per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in
un certo senso; non peste proprio ma una cosa alla quale non si sa trovare un
altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto”. Ecco, noi ci
troviamo a questo punto conclusivo: peste senza contrasto. Dobbiamo inventare
nuove strategie di contrasto.
Se vogliamo riconoscere la presenza delle mafie nella nostra società,
dobbiamo credere ai nostri occhi, alle nostre orecchie. Partiamo dall’operazione
Infinito. Ci dice di presenze della Ndrangheta a San Vittore Olona e Giussano.
E poi Bagliore (2011), Ulisse (2012), Insubria (2012) ci testimoniano di Locali
della Ndrangheta a Bollate, Bresso, Calolzio Corte, Canzo, Cermenate, Cormano,
Desio, Fino Mornasco, Giussano, Limbiate, Mariano Comense, Rho, Seregno: 175
arrestati, di cui 23 nati in Lombardia o al Nord.
E pochi mesi fa, sui giornali locali abbiamo potuto leggere di alcune
intercettazioni su un personaggio affiliato a un locale mafiosa che
coinvolgevano un consigliere comunale di Fino Mornasco, il presidente del
Consiglio comunale, ai tempi assessore al commercio, che sentiva dirsi al
telefono; “Gianluca, guarda abbiamo fatto un affare perché se il problema glielo
risolviamo questo qua è uno che ci procura voti certi”.
Questo qua sarebbe un
pregiudicato legato a un clan e recluso per omicidio. Ora, quel politico si è
dimesso (il suo nome è perfettamente comasco, si badi bene); la commissione
antimafia ha preso in considerazione la situazione finese e in prefettura hanno
valutato se sciogliere quell’amministrazione per infiltrazioni. Registriamo oltretutto
una continuità con i pregiudicati coinvolti nell’antica inchiesta I fiori di San
Vito.
Attenzione, nulla di rilevante su piano penale, ma molto inquietante
sul piano politico sono coloro con cui la maggioranza civica del Comune di
Cantù allestì un’alleanza per concorrere all’elezione del Presidente della
Provincia (elezione di secondo livello, cui partecipavano solo i consiglieri comunali
provinciali). Una scelta che trovo almeno imbarazzante, e sulla quale nessuno
ha sentito il dovere di dare spiegazioni, alla luce delle notizie che emersero
in seguito sul Comune di Fino Mornasco.
Ecco cosa intendiamo quando diciamo che occorre un sovrappiù di cautela
e di intelligenza politica: quando si stringono certe mani, c’è il rischio di sporcarsele.
Secondo me dobbiamo tutti agire con cautela e coraggio allo stesso tempo.
Coraggio per denunciare, cautela nel sceglierci le amicizie e le alleanze sul
piano politico.
Viviamo di fianco a una presenza oscura e inquietante, una oscurità
paziente, come dice un personaggio dell’opera teatrale di Dalla Chiesa: “E’ l’oscurità
che semina la crudeltà nella giustizia […] L’oscurità sa essere paziente… E vinceremo
sempre noi. Perché noi siamo ovunque…”
Ecco, di fronte alla pazienza della criminalità, dobbiamo armarci del
primo presidio che ci può venire dalla legge: il presidio della testimonianza.
Continuo a citare il testo teatrale:
“Io dico no!. Nel 1982, il 13 settembre, la Camera e il Senato hanno
approvato e il Presidente della Repubblica
promulga la legge 646.
Art. 1. Dopo l’articolo 416 del codice penale è aggiunto il seguente: “Art.
416bis – Associazione di tipo mafioso – Chiunque fa parte di un'associazione di
tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a
sei anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono
puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni. L'associazione
è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e
di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o
indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare
profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Ecco, da questo dobbiamo ripartire, per chiedere legalità e fermezza a
uno Stato che decida di fare lo Stato. Anche per rispetto di quanti si sacrificarono,
perché tale reato venisse riconosciuto. Tra loro dovette morire Pio la Torre,
assassinato il 30 aprile 1982. Ha dovuto morire il generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, assassinato il 3 settembre 1982. E tanti sono stati assassinati prima
di loro, insieme a loro, dopo di loro.
Con questa consapevolezza, ci impegniamo questa sera per comprendere meglio
tale fenomeno, precondizione essenziale per combatterlo.
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