Il 25 aprile
festeggiamo la festa della Liberazione dall’occupazione nazista, la fine della
seconda guerra mondiale e del fascismo in Italia.
La
Liberazione segna la conclusione di una violenta dittatura, che aveva portato l’Italia
in una guerra devastante, e segna l’avvio di una nuova storia per l’Italia: la
scelta per la Repubblica, l’affermarsi della democrazia, il successo dei
partiti di massa e la scomparsa del vecchio ceto oligarchico. Uno sforzo civile
e culturale che si sarebbe di lì a poco incardinato nella Costituzione
repubblicana, nei suoi luminosi principi di eguaglianza formale e sostanziale.
La festa del
25 aprile è quindi la festa degli italiani, la più bella e unificante delle
feste nazionali; la festa della Resistenza e dei partigiani, dei giovani che ebbero
il coraggio di salire nelle montagne per combattere il dominio nazifascista e
vinsero contro forze militari soverchianti. È la festa del coraggio.
Di questo,
oggi, è sembrato potesse concretizzarsi la palpabile evidenza durante le
celebrazioni che si sono svolte nella città di Cantù. Del tutto scomparsi i
riti annoiati delle precedenti amministrazioni, abbiamo visto centinaia e
centinaia di giovani e meno giovani, stretti al tricolore che il nostro partito
ha messo a disposizione della città: la lunga bandiera a nastro che i ragazzi
delle scuole medie hanno portato in corteo, e che è stato simbolo dell’unione
nazionale, ma anche dell’attaccamento alla nostra comune Patria.
E persino l’inizio
del discorso del Sindaco ha colpito e commosso per la sua originalità, e per il
richiamo dell’epitaffio di Piero Calamendrei, che egli ha recitato
personalmente, a tratti non nascondendo il proprio sentimento. Un avvio condivisibile.
E tuttavia,
non è sfuggito ai più la torsione verso l’attuale condizione politica che il Sindaco
ha voluto imprimere alla celebrazione di questa festa degli italiani e dell’Italia
repubblicana, in questo facendo sfuggire l’occasione di un comune e commosso
ritrovarsi in una storia condivisa. Anzi, la storia da lui rievocata, che pure
ha portato alla nascita della Repubblica, è stata da subito resa storia
contemporanea, o meglio “del contemporaneo”. E non è sembrato affatto
condivisibile l’allusione a un pericoloso parallelismo tra lo stato fascista e la nostra Repubblica, libera e democratica, quasi vista come l’artefice
della crisi, la responsabile del disagio sociale; che pure ci sono, ma appartengono
a diverse dimensioni della vita sociale italiana, non certo alla forma dello Stato,
alla sua Costituzione, al profilo istituzionale della Repubblica.
Un’occasione
mancata, quindi, in una giornata di festa, ma non sufficiente a guastarne il
valore e la grandezza.
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