martedì 19 luglio 2016

Cantoni regionali: isolamento della città di Cantù. Così non va.


La reprimenda del civico primo cittadino di Cantù di oggi, dedicata al progetto regionale di riaccorpamento delle vecchie provincie in “cantoni”, suona come un attacco lancia in resta e si legge invece come una patetica dichiarazione di impotenza.
Nella giornata di ieri si è tenuto il tavolo della competitività, in cui siedono i principali centri comaschi, le istituzioni e i loro rappresentanti a Como domiciliati. Tale consesso ha espresso una dura critica alla proposta della Regione, e ha esortato le istituzioni comasche a opporsi ad essa. In questo contesto complessivo, e altamente rappresentativo delle istituzioni della ex provincia di Como, è risaltato il vuoto di presenza del Comune di Cantù. Ergo, il sindaco ha voluto farsi una sua battaglia casalinga, arruolando nel suo esercito un po’ esangue il quotidiano locale, cui non ha lesinato lodi, e “tutti gli altri media locali”. Delle istituzioni, con le quali il Comune di Cantù ha ormai chiuso i rapporti, nessun accenno.
E tuttavia, persino in questa triste romanzesca vocazione alla solitudine, avrebbe potuto emergere un’idea decente, perché no? proveniente dal primo cittadino canturino. E qui è emerso il secondo aspetto molto deprimente della politica cittadina sotto guida civica: contro la proposta di Maroni (Varese e metà provincia di Como che si uniscono) non emerge nessuna idea alternativa, ma una diversa riorganizzazione territoriale: togliamo Varese, aggiungiamo Lecco e Sondrio.
Eppure, persino la Lega a guida Tiziana Sala aveva avuto maggiori argomenti, aveva addirittura commissionato uno studio al sociologo Aldo Bonomi, che conosce bene la realtà pedemontana lombarda, e aveva fornito (per quanto ormai fuori uso per vetustà) alcuni indirizzi orientativi per la politica cittadina. L’esperienza civica canturina esprime il nulla. Come però, a ben vedere, non molto di più viene espresso dalle altre istituzioni provinciali.
Occorrerebbe rileggere le relazioni produttive, culturali, formative esistenti in Lombardia sotto un diverso punto di vista, prima di mettere mano al riassetto amministrativo. Se si osserva la cartina geografica dei cantoni di Roberto Maroni, si comprende come il vuoto progettuale guidi tale riassetto. Quanto emerge è uno spezzatino che privilegia il potere centrale, collocato a Milano, e attorno dei distretti deboli sul piano negoziale, pronti a farsi fagocitare dal centro del potere amministrativo e politico-economico, secondo le ratio del divide et impera.
Eppure, proprio dallo stesso Bonomi ci giunge una lettura nuova della logistica del potere lombardo, che egli definisce sotto la denominazione di città infinita: «La megalopoli si forma attraverso un processo di "inurbazione". Nella città infinita è diverso, rimanda a un’area come quella di Los Angeles, ma ricca di Storia. Di centri come Varese, Como, Lecco, Monza o Busto Arsizio: medie città che hanno svolto una funzione produttiva e storica per tutto il Novecento in rapporto con Milano. Oggi, però, "sono mangiate" e nello stesso tempo "mangiano" Milano, stemperano la loro specificità, si scontrano con Milano. Tutto questo territorio si trasforma, assume nuove identità. Milano si svuota riempiendosi di funzioni terziarie, l’area pedemontana viene mangiata da funzioni produttive e non, dai grandi centri commerciali, dalle multisala».
La città di Cantù ha bisogno di capire il contesto relazionale in cui è collocata, ha bisogno di leggere i fenomeni economici e strutturali che la fondano e ne rifondano le specificità, anziché stare a baloccarsi su un Monòpoli dei territori al quale i politici responsabili (?) sembrano interessati più che altro a giocare i propri destini personali. E se vorrà avere un senso storico, oltre che economico, Cantù dovrà in futuro fondare nuove relazioni, che vadano ben al di là degli attuali assetti provinciali, ma si allarghino a territori molto più vasti, sino a comprendere l’intera fascia pedemontana, da Varese a Brescia. Solo così il rapporto con la città di Milano sarà possibile un rapporto paritario e costruttivo.
Per fare ciò, serve ben altro che una lista civica che alle scorse elezioni, pur vincendo, non è andata al di là di una quota infima dei voti al primo turno. Servono forze politiche strutturate e capillarmente presenti nel territorio regionale. E serve studio e comprensione di fenomeni sociali complessi: saranno più utili sociologi ed economisti che urbanisti.

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