domenica 19 giugno 2016

Dotti: "Il welfare del futuro si basa sull’aggregazione della domanda"


Johnny Dotti ha dato la sveglia alla politica canturina sul tema del welfare comunitario. E noi abbiamo compreso che in un non lontano futuro ogni cosa dovrà cambiare, se non vorremo perdere la nostra tenuta sociale.
Venerdì 19, presso la sede del Partito democratico cittadino, il sociologo bergamasco, autore del saggio Buono e giusto, Sassella editore, ha dialogato con Paolo Ferrario, altro sociologo, d’impostazione più istituzionale, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia e con iscritti e simpatizzanti venuti ad ascoltarlo. Tra loro anche gli assessori ai servizi sociali Laura Longoni (di Cucciago) e Francesco Pavesi (di Cantù).
Immediato è stato il punto d’attacco di Dotti: il piano di zona del canturino, egli ha sostenuto, è un perfetto esempio di come di procedeva negli anni 70 del secolo scorso. Un esempio di inerzia istituzionale, tutto incentrato sul modello della indicizzazione, e poco sulla valutazione dei processi (“è incentrato su parole, quando dovrebbe essere costruito su verbi”). Ma soprattutto, esso non comprende il vero punto di crisi della nostra società.
Che è tutto demografico. Per la prima volta, ha affermato Dotti, accade in Occidente quanto non accadeva da seimila anni: la classe degli over 65 anni supererà a breve quella degli under 25 ani. E quando ciò accadrà, sarà un disastro per la sostenibilità sociale.
In tale contesto, è proprio  la logica della erogazione dei servizi ad essere sbagliata. Il format dei servizi ipotizzati dal sistema assistenziale canturino sono stati predisposti e modellati quaranta anni fa. E da allora, l’inerzia istituzionale li ha perpetuati.
Come si esce da tale inerzialità? Facendo emergere, a detta del sociologo Dotti, il circuito dell’informalità, che è sicuramente più ricco e più strutturato di quello istituzionale: una stima tra welfare territoriale comunale e quello familiare dovrebbe vedere un rapporto di  1 a 10! Ma per far ciò occorre ridefinire la stessa governance del modello del welfare comunitario, tutta orientata sulla cultura dello specialismo, quando questo specialismo è crollato definitivamente con la crisi del 2007: si pensi alla sharing economy che lo abbandona definitivamente.
Un altro motivo di crisi di questo modello, è legato all’idea di diritti che è sottesa ad esso, ormai superata. Negli ultimi decenni siamo passati dal concepirli come diritti collettivi, a viverli come diritti individuali. In un tale mutato contesto, il welfare non può più funzionare.  Se ogni bisogno si promuove in diritto individuale insindacabile, l’impianto stesso del welfare si trasforma in una sorta di repertorio di offerte, alle quali ciascuno si avvicina sulla base di una cultura consumistica e individualistica.
Di contro a questa deriva, la proposta di fondo emersa nel colloquio con Johnny Dotti è quella di partire dalla domanda, da una sua mutualizzazione. Ed è l’unica alternativa alla trasformazione e alla privatizzazione del welfare, abbandonato altrimenti nelle mani di assicurazioni private e finanziarie.
Occorre quindi creatività e inventiva, per salvaguardare la natura democratica del welfare. E questo deve servire per il sociale, come per la componente sanitaria, ridotta a vero business dalla scelta lombarda di esasperare i l  modello del servizio reso su presentazione di un voucher.
Serve quindi visione, apertura mentale e determinazione per puntare anzitutto alla costruzione di un capitale sociale, facendo per il welfare quanto accadde a fine ‘800 con la nascita delle mutue e delle banche cooperative. E serve soprattutto radicalità, mirata a un’azione trasformativa, capace di evitare le due minacce per il welfare del domani: burocratismo e funzionalismo.

All’ente pubblico, il compito di essere “primus inter pares”, ovvero una istituzione capace di rigenerare autorità, ma che rinunci a ogni pretesa dirigistica.

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