sabato 25 aprile 2015

Il nostro 25 aprile

Son passati 70 anni da quando le brigate partigiane liberarono Milano, e poi Torino, Bologna, Genova. L’intero Nord Italia. Dalla dominazione nazifascista.
La Resistenza è stato il fatto storico che ha permesso la nascita di una nuova Italia, democratica e popolare.
Oggi noi, compiendo un atto che non ci nascondiamo rappresenta una lacerazione con una retorica celebrativa del 25 aprile, vogliamo ricollegarci a quel 25 aprile di 70 anni fa. Il nostro è un atto di coerenza.
Contro il messaggio sbagliato che si dà ai cittadini, e soprattutto ai giovani, di essere allo stesso tempo liberali e democratici e di concedere strutture comunali  a chi ancora giustifica e si identifica nelle mortali ideologie del nazismo e del fascismo.
Lo abbiamo fatto ricordando che don Vittorino Busnelli, parroco di Vighizzolo il 25 aprile 1945 compì un atto di coraggio ancora tutto da valutare sul piano storico e da rivalutare su quello politico e morale. Lo facciamo rammentando i nomi e il sacrificio dei sei giovani uccisi qui dai nazisti l’8 aprile 1945.
Non sono due esempi di natura militare, di natura eroica come viene inteso tradizionalmente l’eroismo. Don Busnelli colse il significato storico di quel 25 aprile e non alimentò ma impedì un conflitto armato. I soldati tedeschi che contribuì a salvare sarebbero stati più utili da vivi che da morti alla causa della pace e della democrazia.  I sei giovani trucidati ad Asnago non erano degli eroi ma dei disertori (nel linguaggio  crudele dell’onore militare), giovani che volevano rinunciare alla guerra.
Sono due esempi di ciò che (anche) fu la Resistenza. Fu anche e soprattutto coraggio, lotta armata, organizzazione militare, partigiani in montagna nelle SAP, nei GAP. Fu anche un movimento politico e culturale che aveva come primo suo bisogno di dire basta alla guerra, quella guerra fascista.  E quindi, insieme a quella dei partigiani, fondamentale, ci fu anche una Resistenza di fuga, di scioperi nelle fabbriche di Milano, di diserzioni dall’esercito rapubblichino; la resistenza delle staffette, la resistenza delle donne (un esempio su tutte, Tina Anselmi, ancor viva, che ha compiuto 87 anni lo scorso marzo). Di un popolo che non ne poteva più con il regime fascista, ideologico e totalitario. E anelava a un futuro di libertà e progresso.
Non fu un movimento ideologico, ma concreto e politico. Ci presero parte uomini e donne di diversi orientamenti culturali, che divennero i padri fondatori della nostra Repubblica italiana.
Solo una lettura ideologica e ipocrita di quel movimento storico può autorizzare interpretazioni e attualizzazioni forzate,come il domandarsi ossessivamente chi sia oggi l’equivalente dei partigiani di allora. (Si è addirittura arrivati a indicare in questo nuovo ruolo liberatorio gli evasori  fiscali)
Ma chi giunge a questa conclusione, che rasenta la malafede e il revisionismo ideologico della storia, è oggi anche chi alimenta un ottuso qualunquismo, è chi sostiene che i partiti sono tutti uguali, e così via. Dimenticando che proprio l’essere di una parte è quanto fecero i partigiani. Dalla parte della pace e della democrazia.
Questo bieco qualunquismo, che è riuscito a trasformare in ideologia persino il concetto di libertà, per cui si è liberi se si è indifferenti al valore di quanto si dice, si è democratici se si alimenta un relativismo valoriale, per cui essere democratici o nazisti è indifferente, ecco, proprio questa interpretazione dell’oggi è il vero nemico della Resistenza e dei suoi valori.

Noi ribadiamo di essere parte, una parte, un partito, nella società italiana, per quanto un partito che si offre a un ruolo nazionale e locale di governo. E proprio in quanto tale, rivendichiamo il diritto di rammentare ai nostri concittadini, che nella Resistenza antifascista sono il cuore e l’origine della nostra Italia repubblicana. E con questi valori non si può giocare i nome di opportunismi e convenienze contingenti. Difendiamola,ricordiamola e pratichiamola anche oggi.

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