venerdì 19 dicembre 2014

La moschea a Cantù: diciamo no al referendum

Sabato 20 dicembre, dibattito in consiglio comunale. Si decide, non se insediare o meno  una moschea in una zona industriale e commerciale cittadina, bensì se svolgere o meno un referendum.

Il dibattito imminente in consiglio comunale sul tema della costituenda moschea in via Milano evidenzia da subito i limiti dell’iniziativa del Comune e specularmente i limiti dell’iniziativa della Lega e degli altri gruppi comunali di destra all’opposizione della giunta civica.
Troviamo in entrambi un uso strumentale di un bisogno umano incoercibile (pregare il proprio dio) e quindi una strumentalità indiscutibile e di dubbia utilità politica per entrambi i contendenti.
È indispensabile compiere uno sforzo di comprensione, che vada al di là delle schermaglie contingenti, per orientarsi entro una materia tanto delicata e controversa.
Per capire come muoversi, chiunque faccia politica dovrebbe porsi una domanda fondamentale, anzitutto : il dialogo religioso tra fedi diverse è un valore o meno? Se si risponde positivamente a questa domanda, allora occorre assumere atteggiamenti diversi dagli attuali; se si risponde no, basterebbe allora che tutto proceda secondo la china che la faccenda ha preso a percorrere in questi mesi.
Oltretutto, la stessa decisione di portare il dibattito in consiglio in prossimità del Natale è la prova di quanto si voglia strumentalizzare il versante religioso a scopi politici, il che è prova del brutto verso che la politica cittadina ha iniziato a prendere. Il fatto religioso è così concepito come un arma da brandire contro l’avversario.
Veniamo anzitutto all’iniziativa della destra cittadina. Sembra che l’unico punto d’accordo sul tema tra le varie forze politiche firmatarie dell’ordine del giorno sia quello di chiedere la convocazione del consiglio comunale, anche se  in effetti l’ordine del giorno si conclude con uno striminzito dispositivo che richiede la celebrazione di un referendum sulla moschea. Oltretutto, dalla lettura dell’ordine del giorno non si capisce se vi sia una contrarietà alla moschea in sé o se si sia contrari alla localizzazione del sito cittadino, all’interno di un’area commerciale e artigiana. Non si tratta di una distinzione di poco conto.
Oltretutto, fa conto segnalarlo, tra i firmatari dell’ordine del giorno risulta anche un consigliere PDL (tale sigla persiste solo a Cantù, a quanto pare) che non votò certo negativamente, quando si trattò di votare l’atto amministrativo che autorizzava la costruzione di un centro di culto in via Milano, ovvero il PGT cittadino.
La destra xenofoba, che tende a nascondersi forse per vergogna del proprio razzismo, avanza di solito un allarme contro gli stranieri in quanto a suo dire  non intenzionati o incapaci a integrarsi (e la religione è il pretesto per dimostrare questa tesi). Quando poi  gli strumenti di integrazione sociale (scuola in primis) vengono effettivamente utilizzati dalle famiglie straniere, ecco la destra manifestare fastidio o irritazione. Questo è recentemente accaduto a Roma, quando un gruppo numeroso di militanti neofascisti impedirono ai bambini Rom di entrare nella scuola primaria da loro frequentata. E quindi non l’assenza di integrazione ma l’integrazione stessa è l’oggetto della polemica vera. Contro l’integrazione,  non per la sua assenza, si esercita oggi il discorso razzista e xenofobo. Ma siccome questa argomentazione è medievale, ci si vergogna e pertanto si inventa l’argomento retorico degli immigrati refrattari all’integrazione. Non escluderei che anche a Cantù sia accaduto qualcosa del genere.
E però, occorre anche rammentare, l’operazione moschea come l’ha impostata l’attuale maggioranza avviene (è avvenuta) in totale assenza di un dibattito pubblico degno di una tanto grande tematica; direi di più, in assenza di una certa trasparenza amministrativa. Durante la discussione delle osservazioni al PGT (Piano di governo del territorio), in una lunga e noiosa seduta consigliare, fu votata quasi in sordina la richiesta del proprietario di un capannone di trasformare la destinazione d’uso del proprio edificio da produttivo in luogo di culto. Forse dieci minuti di dibattito, molta noia, e un voto della maggioranza a favore.
Venne del tutto eluso ogni riferimento a un qualche modello di integrazione sociale tra i tanti sperimentati negli ultimi decenni in diversi  paesi. Si è trattato di un approccio improvvisato, come quasi tutto quanto fatto dalla presente amministrazione civica. E a partire proprio dalla localizzazione della sede del luogo di culto, abbiamo assistito a decisioni assunte senza prendere in esame le serie conseguenze reali di tali decisioni.
Quella localizzazione in via Milano quali benefici porterà all’obiettivo di generare un utile momento di dialogo tra culture e religioni diverse? Quali controindicazioni comporterà? Di certo, aver insediato un centro religioso all’interno di un comparto industriale e artigianale, in una zona periferica della città, darà meritoriamente una soddisfazione al bisogno religioso di tanti nostri concittadini musulmani, ma non farà progredire molto le occasioni di incontro e di confronto con altre fedi, se non artatamente create, magari alla presenza dei giornalisti debitamente invitati. Ma quello che fa sostanza in questo campo sono le infinitesimali occasioni di scambio, il confronto molecolare, non certo i momenti ufficiali di compresenza per la foto di gruppo da inviare al giornale.
Se il dialogo religioso, se le occasioni di dialogo molecolari sono importanti, allora persino quella localizzazione andrebbe ripensata.
E tale ripensamento, anziché collocarlo all’interno di un’occasione surrettizia, magari un dibattito consigliare sul piano del traffico o sul piano commerciale, andrebbe svolto davanti alla città, in un dibattito pubblico consapevole, del quale fino ad oggi l’amministrazione a trazione civica ha del tutto privato la città. Occorreva una riflessione consapevole, che è mancata, e la cui assenza è la cifra dell’attuale amministrazione.
Tuttavia, il dibattito al quale in questi giorni il consiglio comunale è chiamato non riguarda la scelta di insediare la moschea all’interno di una zona industriale e commerciale, bensì se svolgere o meno un referendum cittadino, a suggello della decisione malamente assunta. Ebbene, se su questa decisione saremo chiamati a pronunciarci, sarà evidente che diremo no a un referendum, che sarebbe illegittimo, per una ragione di fondo: non si può sottoporre a decisione politica un diritto sancito costituzionalmente. Nessuno potrà mai chiedere ai cittadini di pronunciarsi sui diritti civili essenziali, quasi che essi potessero essere rimessi in discussione da una semplice azione amministrativa. Sarebbe una barbarie contro la quale ci schiereremmo decisamente.

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