Sabato
20 dicembre, dibattito in consiglio comunale. Si decide, non se insediare o meno
una moschea in una zona industriale e
commerciale cittadina, bensì se svolgere o meno un referendum.
Il dibattito
imminente in consiglio comunale sul tema della costituenda moschea in via
Milano evidenzia da subito i limiti dell’iniziativa del Comune e specularmente
i limiti dell’iniziativa della Lega e degli altri gruppi comunali di destra
all’opposizione della giunta civica.
Troviamo in
entrambi un uso strumentale di un bisogno umano incoercibile (pregare il proprio
dio) e quindi una strumentalità indiscutibile e di dubbia utilità politica per
entrambi i contendenti.
È indispensabile
compiere uno sforzo di comprensione, che vada al di là delle schermaglie
contingenti, per orientarsi entro una materia tanto delicata e controversa.
Per capire come
muoversi, chiunque faccia politica dovrebbe porsi una domanda fondamentale, anzitutto
: il dialogo religioso tra fedi diverse è un valore o meno? Se si risponde
positivamente a questa domanda, allora occorre assumere atteggiamenti diversi
dagli attuali; se si risponde no, basterebbe allora che tutto proceda secondo
la china che la faccenda ha preso a percorrere in questi mesi.
Oltretutto, la
stessa decisione di portare il dibattito in consiglio in prossimità del Natale
è la prova di quanto si voglia strumentalizzare il versante religioso a scopi
politici, il che è prova del brutto verso che la politica cittadina ha iniziato
a prendere. Il fatto religioso è così concepito come un arma da brandire contro
l’avversario.
Veniamo anzitutto
all’iniziativa della destra cittadina. Sembra che l’unico punto d’accordo sul
tema tra le varie forze politiche firmatarie dell’ordine del giorno sia quello
di chiedere la convocazione del consiglio comunale, anche se in effetti l’ordine del giorno si conclude con
uno striminzito dispositivo che richiede la celebrazione di un referendum sulla
moschea. Oltretutto, dalla lettura dell’ordine del giorno non si capisce se vi
sia una contrarietà alla moschea in sé o se si sia contrari alla localizzazione
del sito cittadino, all’interno di un’area commerciale e artigiana. Non si
tratta di una distinzione di poco conto.
Oltretutto, fa
conto segnalarlo, tra i firmatari dell’ordine del giorno risulta anche un
consigliere PDL (tale sigla persiste solo a Cantù, a quanto pare) che non votò
certo negativamente, quando si trattò di votare l’atto amministrativo che
autorizzava la costruzione di un centro di culto in via Milano, ovvero il PGT
cittadino.
La destra xenofoba,
che tende a nascondersi forse per vergogna del proprio razzismo, avanza di
solito un allarme contro gli stranieri in quanto a suo dire non intenzionati o incapaci a integrarsi (e la
religione è il pretesto per dimostrare questa tesi). Quando poi gli strumenti di integrazione sociale (scuola
in primis) vengono effettivamente
utilizzati dalle famiglie straniere, ecco la destra manifestare fastidio o
irritazione. Questo è recentemente accaduto a Roma, quando un gruppo numeroso
di militanti neofascisti impedirono ai bambini Rom di entrare nella scuola
primaria da loro frequentata. E quindi non l’assenza di integrazione ma l’integrazione
stessa è l’oggetto della polemica vera. Contro l’integrazione, non per la sua assenza, si esercita oggi il
discorso razzista e xenofobo. Ma siccome questa argomentazione è medievale, ci
si vergogna e pertanto si inventa l’argomento retorico degli immigrati
refrattari all’integrazione. Non escluderei che anche a Cantù sia accaduto
qualcosa del genere.
E però, occorre
anche rammentare, l’operazione moschea come l’ha impostata l’attuale
maggioranza avviene (è avvenuta) in totale assenza di un dibattito pubblico
degno di una tanto grande tematica; direi di più, in assenza di una certa
trasparenza amministrativa. Durante la discussione delle osservazioni al PGT
(Piano di governo del territorio), in una lunga e noiosa seduta consigliare, fu
votata quasi in sordina la richiesta del proprietario di un capannone di
trasformare la destinazione d’uso del proprio edificio da produttivo in luogo
di culto. Forse dieci minuti di dibattito, molta noia, e un voto della
maggioranza a favore.
Venne del tutto
eluso ogni riferimento a un qualche modello di integrazione sociale tra i tanti
sperimentati negli ultimi decenni in diversi paesi. Si è trattato di un approccio
improvvisato, come quasi tutto quanto fatto dalla presente amministrazione
civica. E a partire proprio dalla localizzazione della sede del luogo di culto,
abbiamo assistito a decisioni assunte senza prendere in esame le serie
conseguenze reali di tali decisioni.
Quella
localizzazione in via Milano quali benefici porterà all’obiettivo di generare
un utile momento di dialogo tra culture e religioni diverse? Quali
controindicazioni comporterà? Di certo, aver insediato un centro religioso
all’interno di un comparto industriale e artigianale, in una zona periferica
della città, darà meritoriamente una soddisfazione al bisogno religioso di
tanti nostri concittadini musulmani, ma non farà progredire molto le occasioni
di incontro e di confronto con altre fedi, se non artatamente create, magari
alla presenza dei giornalisti debitamente invitati. Ma quello che fa sostanza
in questo campo sono le infinitesimali occasioni di scambio, il confronto
molecolare, non certo i momenti ufficiali di compresenza per la foto di gruppo
da inviare al giornale.
Se il dialogo
religioso, se le occasioni di dialogo molecolari sono importanti, allora
persino quella localizzazione andrebbe ripensata.
E tale
ripensamento, anziché collocarlo all’interno di un’occasione surrettizia,
magari un dibattito consigliare sul piano del traffico o sul piano commerciale,
andrebbe svolto davanti alla città, in un dibattito pubblico consapevole, del
quale fino ad oggi l’amministrazione a trazione civica ha del tutto privato la
città. Occorreva una riflessione consapevole, che è mancata, e la cui assenza è
la cifra dell’attuale amministrazione.
Tuttavia, il dibattito
al quale in questi giorni il consiglio comunale è chiamato non riguarda la
scelta di insediare la moschea all’interno di una zona industriale e
commerciale, bensì se svolgere o meno un referendum cittadino, a suggello della
decisione malamente assunta. Ebbene, se su questa decisione saremo chiamati a
pronunciarci, sarà evidente che diremo no a un referendum, che sarebbe
illegittimo, per una ragione di fondo: non si può sottoporre a decisione
politica un diritto sancito costituzionalmente. Nessuno potrà mai chiedere ai
cittadini di pronunciarsi sui diritti civili essenziali, quasi che essi
potessero essere rimessi in discussione da una semplice azione amministrativa.
Sarebbe una barbarie contro la quale ci schiereremmo decisamente.
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