mercoledì 25 giugno 2014

Stranieri a Cantù. Ben altro che le polemiche sulla Moschea. Serve una valutazione più matura e intelligente


Pubblichiamo una riflessione sulla demografia cittadina, che ci presenta delle serie prospettive per la nostra città. Alle quali occorrerebbe dare una risposta depurata da emotività e irrazionalità. Serve una riflessione critica, che ci indichi delle prospettive. Anche a partire dalla politica urbanistica cittadina, mai quanto oggi fuori tempo.

I numeri hanno un peso, che a volte li rende inattaccabili, quasi un elemento di prova invincibile sul piano della retorica. E tuttavia, occorre saperli interpretare. Snocciolarli senza il costrutto della riflessione non porta grande aiuto a comprendere, ad agire, a prevenire.

Il Sindaco di Cantù, posto in difficoltà da un’opposizione molto ruvida della Lega Nord sul tema della Moschea, ha pensato di fornire i suoi numeri, e ha spiegato che “dal 2003 ad oggi hanno acquisito la cittadinanza italiana 470 stranieri adulti e 152 minorenni, per un totale di 632 nuovi cittadini italiani di origine straniera (di cui la metà di religione cristiana).

 In aggiunta a questi ex stranieri oggi naturalizzati, all'anagrafe di Cantù abbiamo ad oggi iscritti 4207 cittadini stranieri, minorenni compresi (2066 maschi e 2141 femmine) pari a poco più del 10% dell'intera popolazione canturina.

 Di questi 4207 stranieri regolarmente residenti  circa 1600 sono di religione islamica (e sono quelli che vorrebbero avere un luogo in cui poter pregare insieme) mentre circa 1800 sono di religione cristiana”.

Tali numeri confermerebbero che non c’è un’invasione in corso a Cantù, anzi.

E tuttavia, i dati forniti dal Sindaco non sono risolutivi, non aiutano a comprendere, anzi rifiutano di farsi comprendere… Ci sviano e lasciano scoperto il dato reale più evidente: il costante afflusso di cittadini stranieri nella città di Cantù, decisamente aumentati negli ultimi venti anni, fino a superare la quota del 10% della popolazione (tuttavia, si consideri che questi venti anni sono stati univocamente governati dalla Lega Nord). È vero che a partire dal 2012 i flussi immigratori in Italia si siano ridotti, per la crisi economica; ma questo è un fenomeno che grava soprattutto sul Nord Est d’Italia. A Cantù esso è più ridotto.

Anzitutto, va chiarito un aspetto, che serve a demistificare la polemica contro la Moschea. Chi si oppone alla Moschea in effetti dice un’altra cosa: si oppone alla presenza di cittadini stranieri che, oltre a essere catalogati come operatori economici, a volte addirittura indispensabili per l’economia locale, pretenderebbero (vedi un po’!) che sia loro riconosciuto quanto essi significano in termini di progetto di vita, ricerca di futuro e identità culturale (di cui la religione è uno degli aspetti, certo, non necessariamente il più importante).

Quindi è su questo tema che va spostato l’accento: l’identità di uomini e donne che sono portatrici di un’alterità che può spaventare, può affascinare, ma certo non può essere nascosta.

E quindi occorre capire meglio questo fenomeno, ma all’interno di un quadro demografico che va compreso bene. Non bastano i numeri del Sindaco. Essi sono solo la premessa per una comprensione non superficiale di questo fenomeno, tanto importante per la nostra città.

Anzitutto è indispensabile studiare la popolazione canturina. Il che potrebbe servire a generare (basterebbe un file excel) un grafico che dà un quadro della composizione per fasce d’età della società canturina, il che aiuterebbe a capirne l’evoluzione.

 

Il grafico in basso, detto Piramide delle Età, rappresenta la distribuzione della popolazione residente a Cantù per età, sesso e stato civile al 1° gennaio 2013.


 

In Italia ha avuto la forma simile ad una piramide fino agli anni '60, cioè fino agli anni del boom demografico.

È interessante affiancare alla piramide di tutti i canturini residenti in città quella relativa ai soli residenti stranieri (senza cittadinanza). Si evince subito quanto l’evoluzione demografica cittadina (e non solo cittadina) presenti una vera e propria fase critica.

 


 

Insomma, quella dei cittadini stranieri è una vera piramide, molto bassa oltretutto, mentre quella dell’intera popolazione cittadina è una piramide per modo di dire, assomiglia di più a una bottiglia rovesciata…

 

Restiamo quindi al solo anno 2013, l’ultimo disponibile.

La popolazione (il totale della popolazione in dato anno, divisa in fasce di età) è  di 38.716 unità (dati anagrafe). Gli immigrati (non necessariamente stranieri) sono stati nello stesso anno: 570, gli emigrati 290. Nello scorso anno sono nati a Cantù  399 bambini e bambine. I morti sono stati  353.

 

Questi dati permettono di calcolarne altri più complessi; si tratta dei cosiddetti tassi demografici.

Alcuni tassi sono molto importanti per capire come potrebbe evolvere la nostra città.

Tra questi dati troviamo il tasso di crescita totale. Esso esprime la variazione (per 1.000 abitanti) che segna la popolazione nell’anno ed è la risultante del saldo naturale (differenza fra nati e morti) e di quello migratorio (differenza fra immigrati ed emigrati).

 

Il saldo naturale (la differenza tra il numero dei nati vivi e il numero dei decessi) è stato a Cantù (di poco) positivo lo scorso anno: +88. Il saldo migratorio (ossia differenza tra emigrati e immigrati) è stato decisamente più significativo, pari a + 280.

 

Il tasso di crescita naturale è definito annualmente come il rapporto tra il saldo naturale e la popolazione media dell'anno moltiplicato per mille. Tale tasso è stato nel 2013 di 2,27 per mille.

Lo stesso vale per il tasso di crescita migratorio, che è stato nello stesso anno del 7,23 per mille.

Quindi il tasso di crescita totale della popolazione canturina risulta nel 2013 pari a 9,45 per mille.

 

Un altro tasso che riusciamo a individuare è il tasso di fecondità totale che esprime il numero medio di figli per donna in età feconda (15-49 anni). Esso indica la capacità che una popolazione ha di rigenerarsi. Per il sostentamento della popolazione ogni donna in età fertile dovrebbe generare almeno 2,1 figli.

Il tasso di fecondità nella città di Cantù risulta pari a 1,6 figli per donna fertile.

 

Risulta quindi evidente che, alle condizioni odierne, la società canturina, nonostante conosca un saldo attivo di immigrazione, non è in grado di sostenere la propria continuità. Si consideri che per garantire un tasso di fecondità pari a 1,6 figli per donna fertile si computano anche i figli generati da donne straniere. Che non sono poche nella nostra città, come il Sindaco stesso ci ha rammentato. Senza di esse, di fatto le prospettive di sostentamento demografico sarebbero del tutto e gravemente deficitarie.

 

Dopo aver valutato i vari tassi demografici, che molto ci dicono sull’andamento della popolazione di una comunità, possiamo procedere al calcolo di tre indici fondamentali, che ancor meglio ci danno un quadro dell’evoluzione della nostra comunità.

 

L'indice di vecchiaia  misura il numero degli anziani (dai 65 anni d’età in su) ogni 100 giovani (di età pari o inferiore a 15 anni) e serve per valutare il livello di invecchiamento degli abitanti in una popolazione. Si fa il rapporto su 100 abitanti che hanno meno di 15 anni e chi ne ha più di 65. La variazione dell’indice nel tempo dipende dalla dinamica sia della popolazione anziana che di quella giovane.

A Cantù esso vale il 120%. E non si tratta di un dato entusiasmante. In quanto ci dice che ogni cento fanciulli vi sono 120 anziani. Fotografa quindi una tendenza all’invecchiamento della società.

 

L'indice di ricambio fornisce un’indicazione della capacità di sostituzione generazionale della popolazione in età attiva. L'equilibrio sociale è considerato 100, allorché tutti quelli che escono dal mercato del lavoro sono sostituiti da quelli che vi entrano. Per calcolarlo bisogna fare il rapporto tra quanti sono in età pensionabile (ossia coloro che hanno più di 64 anni) e quanti non sono ancora entrati a far parte del mondo lavorativo  ma entreranno a breve  (ossia dai 15 in giù). A Cantù tale indice è pari a 141%.

 

E infine l'indice di dipendenza strutturale serve ad indicare quanti cittadini in età non attiva esistono ogni 100 individui in età attiva. Se è superiore al 50% vuol dire che c'è uno squilibrio generazionale. A Cantù esso è pari a circa 52,2%.

Un aspetto rilevante di questo indice è la composizione della popolazione dipendente: insomma, una cosa è pensare a una società in cui la dipendenza strutturale supera il 50% poiché ci sono tanti bambini al di sotto dei 15 anni (questo succede in società in cui la piramide demografica è bassa e molto appiattita, come in tutti i paesi del Nord Africa ad esempio); tutt’altra cosa è che tale dipendenza strutturale sia dovuta a una popolazione molto allargata verso la parte alta (con tanti anziani) ed è il caso di molte popolazioni europee (compresa la nostra città).

 

Queste informazioni demografiche sono molto importanti, anche per le possibili valutazioni politiche che ne discendono.

Anzitutto, i dati confermano che le politiche anti immigrazione della Lega Nord e dei suoi alleati di destra a Cantù non sono servite a nulla: non hanno limitato il fenomeno immigratorio, semmai ne hanno impedito il governo politico, lasciandolo all’elementare legge del mercato immobiliare e del lavoro.

Seconda valutazione. La società canturina, più della media nazionale, presenta situazioni di incapacità di ricambio generazionale, pur contando al suo interno i 4 mila immigrati (di età decisamente giovane, in media) presenti in città. Questo presenta un problema anche economico. Ogni cento persone che si rendono disponibili sul mercato del lavoro, ve ne sono 141 che vi escono. Il che fa capire che è in corso uno svuotamento delle riserve lavorative presenti in città, e che quindi si potrebbero presentare condizioni di crisi, evidenziate anche dal cosiddetto indice di dipendenza strutturale. Vi è quindi uno squilibrio generazionale che può costare caro per il futuro benessere cittadino.

 

Da questi dati, possiamo quindi trarre alcune conclusioni più stringenti. I Canturini saranno chiamati in futuro a compiere delle scelte “politiche” importanti.


1. Dovranno scegliere se essere più poveri, nel complesso, o più “puri” sul piano etnico. Delle due cose: essere ricchi e/o limitare la presenza degli stranieri nella nostra comunità, non sarà possibile garantire una coesistenza certa. Questo è dovuto al fatto che, date le politiche urbanistiche degli ultimi decenni, dopo aver devastato l’ambiente urbano, sarà sempre più difficile “importare ricchi”, ovvero quel ceto sociale disposto a prendere casa in ambienti ad alto valore culturale e paesaggistico (un comune d’esempio su tutti, Cermenate); invece, data una vasta quantità di abitazioni di scarso pregio, è sempre più facile che avvenga una importazione di residenti a basso reddito (cosa che è già avvenuta negli ultimi venti anni e accade tutt’ora). Il che non comprende affatto una valutazione di valore, è semplicemente un fatto.

2. Dovranno scegliere se e come considerare i nuovi cittadini che saranno inevitabilmente richiamati nel nostro comune. Il modo di relazionarsi con essi determinerà persino la quantità di ricchezza che potrà essere prodotta in città. Considerare tali cittadini eslcusivamente come manodopera a basso costo potrebbe comportare bassi redditi a disposizione dei consumi in città. Invece, mirare a una valorizzazione delle risorse e delle competenze che  tali cittadini saprebbero mettere a frutto per il bene comune della cittadinanza, porterebbe a un più elevato grado di benessere complessivo.

3. Dovranno decidere se scommettere o meno su questi nuovi cittadini, come produttori netti di ricchezza, non solo economica, della comunità. Insomma, se si tratta di importare manodopera, è meglio importare manodopera di alta qualità che semplici operatori privi di qualifiche e titoli di studio. Quindi, l’intelligenza di chi amministra deve essere quella di selezionare (in senso buono) la propria immigrazione. Quello che sono stati capaci di fare nella Silicon Valley, o in Germania, e che siamo stati  inapaci di fare in Italia a causa di una norma “stupida”, la legge Bossi Fini.

Le tre decisioni davanti alle quali siamo di fronte, fanno risultare la reazione alla Moschea come acqua fresca, anzi una vera e propria battaglia di retroguardia, un po’ alla stregua degli ultimi samurai che attendevano un nemico a decine di anni dalla fine del conflitto del 1945. E tuttavia, occorre riconoscere, anche la risposta a tale reazione è stata debole e priva di capacità prospettica, umorale e poco meditata.

Sarebbe bene che qualcuno lo spiegasse agli uni e agli altri.

 

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