martedì 29 ottobre 2013

Cogresso Pd: la relazione del candidato segretario: "nessuno si senta escluso"


Pubblichiamo la relazione introduttiva del candidato segretario (unico candidato), Filippo Di Gregorio, al congresso del Partito democratico di Cantù. Si tratta della sbobinatura di un intervento pronunciato a voce. Da leggersi in combinato con il documento programmatico già pubblicato.
 
Vorrei che il nostro dibattito facesse emergere un chiaro profilo del nostro partito cittadino. Si tratta di un processo identitario che abbiamo avviato da tempo, e che dobbiamo rinsaldare. Questo obiettivo lo si può ottenere per due vie:
·         enunciando astrattamente dei principi;
·         costruendo l’identità con fatti politici (evidentemente propenderei per la seconda ipotesi).

E i primi fatti della politica sono le idee, le parole, i gesti, ma soprattutto la capacità di collocare i problemi in una scala gerarchica.

Abbiamo notato come, da poco più di un anno, i responsabili politici dell’amministrazione comunale hanno a loro modo delineato l’agenda politica cittadina: un discorso contro le tasse, contro i lavoratori dipendenti, contro la politica, la retorica contro Roma (non volevano farci sentire nostalgia della Lega); non hanno esitato a cinguettare con gli imprenditori disponibili a ogni potere.

Ma tanto fervore, tanto correre in soccorso di chi conta, non lo abbiamo registrato con gli asili nido e le scuole materne convenzionate, con i pensionati (ai quali non è stata risparmiata l’addizionale comunale Irpef).

E proprio da una di queste realtà “deboli” voglio partire. Dai lavoratori dell’impresa Botanic Garden di Vertemate con Minoprio: un’impresa distrutta da un incendio doloso lo scorso 11 settembre, testimone di un sistema produttivo sotto l’assalto della criminalità organizzata, con i propri dipendenti che ci dicono: ”Non dimenticateci”. Ecco, non abbiamo sentito una sola parola, nella politica cittadina, per loro; loro, che sono le prime vittime di una crisi economica e culturale, soprattutto culturale poiché priva di una indispensabile cultura della legalità, e che ci sta segnando nel profondo.

Abbiamo bisogno di dedicare la nostra massima attenzione a una crisi economica difficile. Non siamo di fronte a una classica crisi ciclica del capitalismo, riconosciamolo (lo diciamo nel nostro documento), ma alla crisi di una società satura di beni e che potrà tornare a crescere solo rivedendo e ripensando un proprio modello di sviluppo.

Ci ritroviamo oggi dopo un anno. Un anno fa si viveva la crisi Eleca. Quest’anno corriamo il rischio di vedere moltiplicate le Eleca che chiuderanno nella nostra realtà produttiva.

E permettetemi di richiamare la memoria proprio sull’Eleca (sarà l’unico accenno polemico verso l’attuale amministrazione e il suo massimo esponente, non ho intenzione di pronunciare un intervento di sola critica) . Un anno fa il Sindaco Bizzozero convocava la giunta davanti ai cancelli della fabbrica, parlava alle Tv nazionali, andava a Porto Vesme (azienda in crisi Alcoa) per un gemellaggio non ben definito, prometteva di utilizzare i voucher sociali per gli operai della fabbrica cittadina, inveiva contro la politica (non è una novità, certo, ma allora lo era). Ma cosa rimane di quel grande vociare? Niente. Nessun voucher, nessuna esenzione IMU (ci ha pensato il governo nazionale a eliminare tale tassa), nessun aiuto.

Noi abbiamo agito diversamente (perché noi abbiamo agito). I nostri parlamentari, e segnatamente l’onorevole Chiara Braga, hanno seguito giorno per giorno l’evolversi della vertenza, ci hanno informato settimanalmente sui problemi. Ad esempio, un errore di segnalazione e trascrizione presso INPS regionale aveva reso impossibile erogare sino a poco fa la CIG straordinaria. Su questo problema burocratico sono intervenuti direttamente i parlamentari comaschi (era il loro dovere, ci mancherebbe…). Alcuni dei nostri iscritti che lavorano alla Festa dell’Unità hanno portato agli operai in presidio, durante l’inverno, una stufa da campo. Le scuole cittadine, e non certo per iniziativa del Comune, hanno raccolto fondi per gli operai Eleca. Non abbiamo redatto un solo comunicato stampa per questo impegno. Non sarebbe stato elegante.

Questa è la differenza tra un cultura politica riformista e la demagogia del Sindaco Bizzozero. Noi siamo il riformismo (ce lo ha raccontato benissimo l’assessore del Comune di Milano Franco D’Alfonso, intervenuto mercoledì 23 ottobre al nostro convegno sul commercio a Cantù): ragionare non per principi ma per approccio empirico; a situazioni diverse, applicare misure diverse.

Ma oggi la demagogia governa Cantù. E il riformismo, se vuole tenere il passo, deve darsi un profilo, anche se si trova all’opposizione.

È quanto decidiamo di fare, proprio oggi: dandoci un netto profilo, esercitare il controllo democratico sull’amministrazione, cambiare questa città anche da posizioni d’opposizione.

Dobbiamo essere noi a ricordare ai canturini dove sono finite le sparate demagogiche, mettendole tutte in file, una dietro l’altra: Eleca – polemica contro il personale comunale – palazzetto – Canturina servizi – Piscina – parcheggi – Parco della Brughiera – IMU – Expo 2015 – Bilancio comunale.

Non si esce dalla drammatica crisi del nostro distretto con le ricette della demagogia e del populismo, in perfetta solitudine. Ma tutti insieme. Ma chi governa ha una responsabilità che supera ogni altra: dismettere i toni da crociata e rendere possibile il lavorare insieme, maggioranza e opposizioni.

Ecco perché  solleticare corde sensibili ma inutili, quali la protesta fiscale, allontana la salvezza, non la facilita.

Sia chiaro. Il problema della nostra città, come di tante in Regione, è stato un ventennio di Lega e centro destra, che ha prodotto mostruosità edilizie e povertà culturale. Non è l’attuale maggioranza. Ma l’odierna proposta politica (isolamento istituzionale + demagogia) non è la cura adatta al nostro malessere. Serve, al contrario, una politica che sia ascoltata anche fuori dei confini urbani, capace di programmare e progettare futuro insieme alle altre istituzioni e gli altri comuni.

La stessa cultura che servirebbe a livello nazionale, e che il nostro partito ha fatto di tutto per affondare: con le mancate elezioni di Marini, di Prodi, ad esempio. E ora certo assistiamo al generoso tentativo di Enrico Letta, che saluto con entusiasmo, ma che ha un limite intrinseco: la presenza necessaria, al suo interno, in maggioranza, del principale responsabile del nostro declino economico e politico. Nel 2008, quando cadde il governo Prodi, lo spread era a 53 punti e i rapporto debito /PIL del 103%; nel 2012, alla caduta di Berlusconi, lo spread aveva superato i 500 punti e il rapporto debito/PIL era al 122%. In questi dati è il nostro dramma. Il nostro congresso nazionale è chiamato a risolvere questo dramma. E gli italiani, ne sono sicuro, voteranno il candidato dei quattro partecipanti alle nostre primarie che più nitidamente presenterà una via d’uscita da questa difficile situazione.

Abbiamo pagato duramente questa situazione, con una drastica riduzione dei nostri iscritti a livello nazionale. A Cantù i rinnovi dei tesserati o le nuove adozioni sono oggi a 70 iscrizioni (venti in meno circa); ma per fortuna o meglio grazie al loro buon lavoro, sono aumentati i ragazzi e le ragazze che aderiscono ai Giovani democratici, un bel risultato che in parte compensa quella perdita.

Se vogliamo migliorare questa situazione, siamo chiamati a una forte opera di rinnovamento.

Perché la buona politica del Pd  possa affermarsi, anche nel nostro comune, occorre a mio parere che si impongano nuove logiche, oltre che nuovo personale politico; nuovo pensiero, oltre che nuove facce. E tale pensiero deve affermarsi come sforzo di sincerità, di contro al cinismo con il quale la politica, tutta la politica, è stata fino a qui percepita dai cittadini canturini. Deve imporsi con entusiasmo e coraggio, di contro alla banalità e alla fumosità con la quale anche antropologicamente siano stati individuati dai nostri concittadini da decenni a questa parte. E infine deve farsi portatrice di innovazione, di una forte azione di rinnovamento del fare politico, di contro a logiche di apparato che  non hanno mancato di farsi sentire e di influenzare fortemente scelte importanti determinando inerzie politiche di vasta entità.

Su cosa ci misureranno i cittadini? Sul fatto che non dobbiamo dire e contraddire. La nostra democrazia interna deve essere trasparente. Oggi e alle prossime elezioni primarie che pongono in gioco due fattori:  la partecipazione, e come la stimoliamo: come facciamo vedere che cosa sia la buona partecipazione, come questa sia la festa della democrazia. Per noi questo è partecipare: negoziare valori e potere. Non essere liberi di applaudire il capo al comando. Al costo di risultare irriverenti, se caso il capo possiamo anche contestarlo, metterlo in discussione. Noi, forti di questa libertà, ci possiamo permettere di dire anche al vincitore delle elezioni amministrative scorse, che la nostra è una buona idea di partecipazione, non la sua.

Di conseguenza, ci siamo mossi per elaborare una politica del Partito democratico  nel nostro Comune. In questo siamo stati supportati dal lavoro serio e di valore dei nostri consiglieri comunali: Antonio Pagani e Vittorio Spinelli.

In questo frangente, siamo impegnati in un’opera di proposta su vari problemi, di cui accenno solo i titoli:

·         il Piano di governo del territorio, per l’adozione del quale ci siamo astenuti, e ora stiamo elaborando le osservazioni;

·         il Palazzetto

·         i servizi al cittadino

·         bilancio e IMU

·         la comunicazione politica.

Mi accingo a concludere. Lo dico a tutti, e prima di tutti a me stesso. Dobbiamo liberarci dalla sindrome del paria. Dobbiamo uscire da una condizione di minorità politica, di minoranza culturale. Anche verso la maggioranza che ci amministra.

Mandiamo a dire alla attuale maggioranza che si regoli. Noi non pregheremo più. Non andremo a chiedere loro questo o quello. Oggi non condividiamo con loro alcuna responsabilità. Se intendono uscire dall’isolamento,  che li porta a governare con il 23% dei voti, a loro l’iniziativa. Noi abbiamo un ruolo altro: costruire un’alternativa al loro modo di governare, con chi ci sta, alle nostre condizioni programmatiche però, le condizioni di una forza politica democratica e riformista.

A noi dico che dobbiamo capire che è cambiata un’epoca. Uscire sconfitti dalle elezioni comunali; aver dovuto subire l’iniziativa populista del nuovo vincitore (almeno sino alla manifestazione di piazza Garibaldi contro il festival neonazista), ci aveva consegnati in una posizione di marginalità. L’epoca è finita anche perché disponiamo di un partito che ha saputo assumersi le proprie responsabilità, che non si è nascosto, e anche nella nostra città non deve stare con il cappello in mano. Non dobbiamo essere subalterni ad altri. Non abbiamo più bisogno di vecchi e nuovi collateralismi. Andiamo noi a dialogare con la società canturina, con i nostri bravi esponenti istituzionali (consiglieri comunali, consigliere regionale, parlamentari, esponenti di governo) e con i nostri iscritti (rammento l’ottima iniziativa con i commercianti del centro cittadino avviata da Roberto Bianchi).

Dobbiamo dare maggiore proiezione pubblica al Partito democratico in città: con il supporto di tutti, per allargare la partecipazione e il confronto.

Chi voglia darsi da fare, chi voglia contribuire con un’altra ricetta ad affrontare i problemi del nostro presente (una ricetta riformista, seria e competente) è in questo partito che deve entrare e militare, o è con questo partito che deve dialogare.

Dobbiamo essere noi a elevare il grado di riflessione sulla politica e la cultura politica più in generale. Dobbiamo potenziare le occasioni di confronto ma anche di formazione e di approfondimento culturale (vedi le iniziative di CantùOggi).

Certo, continuiamo a sentire a Cantù i segni di una rivolta, comprensibile rivolta, contro il sistema politico in generale; irrazionale la definisce qualcuno. Ma è una rivolta vera e ha una propria logica. Ritorno a citare Martin Luther King: “Una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”.

Noi abbiamo iniziato ad ascoltare questi linguaggi (magari anche per criticarli, ma mai, mai per fingere di non sentire). Sono segni che abbiamo registrato nel fenomeno leghista in passato, e ora sentiamo tra i tanti elettori del M5S, ma anche tra i cittadini esasperati dalla burocrazia e dalla crisi.

Dobbiamo dire a questi cittadini che noi vogliamo rappresentare una soluzione ai problemi che li assillano, e che non siamo il problema. E possiamo permetterci di dirlo proprio perché ci siamo messi in discussione, ogni volta, non chiudendoci, non fingendo o dissimulando i nostri tanti errori.

Possiamo dire loro, anche ora, che vogliamo ragionare insieme. Che dobbiamo farlo insieme, senza che nessuno si senta escluso.

 

 

 

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