Pubblichiamo la relazione introduttiva del candidato segretario (unico candidato), Filippo Di Gregorio, al congresso del Partito democratico di Cantù. Si tratta della sbobinatura di un intervento pronunciato a voce. Da leggersi in combinato con il documento programmatico già pubblicato.
Vorrei
che il nostro dibattito facesse emergere un chiaro profilo del nostro partito
cittadino. Si tratta di un processo identitario che abbiamo avviato da tempo, e
che dobbiamo rinsaldare. Questo obiettivo lo si può ottenere per due vie:
·
enunciando
astrattamente dei principi;· costruendo l’identità con fatti politici (evidentemente propenderei per la seconda ipotesi).
E i
primi fatti della politica sono le idee, le parole, i gesti, ma soprattutto la
capacità di collocare i problemi in una scala gerarchica.
Abbiamo notato
come, da poco più di un anno, i responsabili politici dell’amministrazione
comunale hanno a loro modo delineato l’agenda politica cittadina: un discorso
contro le tasse, contro i lavoratori dipendenti, contro la politica, la
retorica contro Roma (non volevano farci sentire nostalgia della Lega); non
hanno esitato a cinguettare con gli imprenditori disponibili a ogni potere.
Ma tanto
fervore, tanto correre in soccorso di chi conta, non lo abbiamo registrato con
gli asili nido e le scuole materne convenzionate, con i pensionati (ai quali
non è stata risparmiata l’addizionale comunale Irpef).
E
proprio da una di queste realtà “deboli” voglio partire. Dai lavoratori dell’impresa
Botanic Garden di Vertemate con Minoprio: un’impresa distrutta da un incendio
doloso lo scorso 11 settembre, testimone di un sistema produttivo sotto l’assalto
della criminalità organizzata, con i propri dipendenti che ci dicono: ”Non
dimenticateci”. Ecco, non abbiamo sentito una sola parola, nella politica
cittadina, per loro; loro, che sono le prime vittime di una crisi economica e
culturale, soprattutto culturale poiché priva di una indispensabile cultura
della legalità, e che ci sta segnando nel profondo.
Abbiamo
bisogno di dedicare la nostra massima attenzione a una crisi economica difficile.
Non siamo di fronte a una classica crisi ciclica del capitalismo,
riconosciamolo (lo diciamo nel nostro documento), ma alla crisi di una società
satura di beni e che potrà tornare a crescere solo rivedendo e ripensando un
proprio modello di sviluppo.
Ci
ritroviamo oggi dopo un anno. Un anno fa si viveva la crisi Eleca. Quest’anno
corriamo il rischio di vedere moltiplicate le Eleca che chiuderanno nella nostra
realtà produttiva.
E
permettetemi di richiamare la memoria proprio sull’Eleca (sarà l’unico accenno
polemico verso l’attuale amministrazione e il suo massimo esponente, non ho
intenzione di pronunciare un intervento di sola critica) . Un anno fa il
Sindaco Bizzozero convocava la giunta davanti ai cancelli della fabbrica,
parlava alle Tv nazionali, andava a Porto Vesme (azienda in crisi Alcoa) per un
gemellaggio non ben definito, prometteva di utilizzare i voucher sociali per
gli operai della fabbrica cittadina, inveiva contro la politica (non è una
novità, certo, ma allora lo era). Ma cosa rimane di quel grande vociare?
Niente. Nessun voucher, nessuna esenzione IMU (ci ha pensato il governo
nazionale a eliminare tale tassa), nessun aiuto.
Noi
abbiamo agito diversamente (perché noi abbiamo agito). I nostri parlamentari, e
segnatamente l’onorevole Chiara Braga, hanno seguito giorno per giorno l’evolversi
della vertenza, ci hanno informato settimanalmente sui problemi. Ad esempio, un
errore di segnalazione e trascrizione presso INPS regionale aveva reso
impossibile erogare sino a poco fa la CIG straordinaria. Su questo problema
burocratico sono intervenuti direttamente i parlamentari comaschi (era il loro
dovere, ci mancherebbe…). Alcuni dei nostri iscritti che lavorano alla Festa
dell’Unità hanno portato agli operai in presidio, durante l’inverno, una stufa
da campo. Le scuole cittadine, e non certo per iniziativa del Comune, hanno
raccolto fondi per gli operai Eleca. Non abbiamo redatto un solo comunicato
stampa per questo impegno. Non sarebbe stato elegante.
Questa è
la differenza tra un cultura politica riformista e la demagogia del Sindaco
Bizzozero. Noi siamo il riformismo (ce lo ha raccontato benissimo l’assessore
del Comune di Milano Franco D’Alfonso, intervenuto mercoledì 23 ottobre al
nostro convegno sul commercio a Cantù): ragionare non per principi ma per
approccio empirico; a situazioni diverse, applicare misure diverse.
Ma oggi
la demagogia governa Cantù. E il riformismo, se vuole tenere il passo, deve
darsi un profilo, anche se si trova all’opposizione.
È quanto
decidiamo di fare, proprio oggi: dandoci un netto profilo, esercitare il controllo
democratico sull’amministrazione, cambiare questa città anche da posizioni d’opposizione.
Dobbiamo
essere noi a ricordare ai canturini dove sono finite le sparate demagogiche,
mettendole tutte in file, una dietro l’altra: Eleca – polemica contro il personale
comunale – palazzetto – Canturina servizi – Piscina – parcheggi – Parco della Brughiera
– IMU – Expo 2015 – Bilancio comunale.
Non si
esce dalla drammatica crisi del nostro distretto con le ricette della demagogia
e del populismo, in perfetta solitudine. Ma tutti insieme. Ma chi governa ha
una responsabilità che supera ogni altra: dismettere i toni da crociata e
rendere possibile il lavorare insieme, maggioranza e opposizioni.
Ecco
perché solleticare corde sensibili ma
inutili, quali la protesta fiscale, allontana la salvezza, non la facilita.
Sia
chiaro. Il problema della nostra città, come di tante in Regione, è stato un
ventennio di Lega e centro destra, che ha prodotto mostruosità edilizie e
povertà culturale. Non è l’attuale maggioranza. Ma l’odierna proposta politica
(isolamento istituzionale + demagogia) non è la cura adatta al nostro
malessere. Serve, al contrario, una politica che sia ascoltata anche fuori dei
confini urbani, capace di programmare e progettare futuro insieme alle altre
istituzioni e gli altri comuni.
La
stessa cultura che servirebbe a livello nazionale, e che il nostro partito ha
fatto di tutto per affondare: con le mancate elezioni di Marini, di Prodi, ad
esempio. E ora certo assistiamo al generoso tentativo di Enrico Letta, che
saluto con entusiasmo, ma che ha un limite intrinseco: la presenza necessaria, al
suo interno, in maggioranza, del principale responsabile del nostro declino
economico e politico. Nel 2008, quando cadde il governo Prodi, lo spread era a
53 punti e i rapporto debito /PIL del 103%; nel 2012, alla caduta di Berlusconi,
lo spread aveva superato i 500 punti e il rapporto debito/PIL era al 122%. In
questi dati è il nostro dramma. Il nostro congresso nazionale è chiamato a risolvere
questo dramma. E gli italiani, ne sono sicuro, voteranno il candidato dei
quattro partecipanti alle nostre primarie che più nitidamente presenterà una
via d’uscita da questa difficile situazione.
Abbiamo
pagato duramente questa situazione, con una drastica riduzione dei nostri
iscritti a livello nazionale. A Cantù i rinnovi dei tesserati o le nuove
adozioni sono oggi a 70 iscrizioni (venti in meno circa); ma per fortuna o
meglio grazie al loro buon lavoro, sono aumentati i ragazzi e le ragazze che
aderiscono ai Giovani democratici, un bel risultato che in parte compensa quella
perdita.
Se
vogliamo migliorare questa situazione, siamo chiamati a una forte opera di
rinnovamento.
Perché la buona politica del Pd possa affermarsi, anche nel nostro comune,
occorre a mio parere che si impongano nuove logiche, oltre che nuovo personale
politico; nuovo pensiero, oltre che nuove facce. E tale pensiero deve
affermarsi come sforzo di sincerità, di contro al cinismo con il quale la
politica, tutta la politica, è stata fino a qui percepita dai cittadini
canturini. Deve imporsi con entusiasmo e coraggio, di contro alla banalità e
alla fumosità con la quale anche antropologicamente siano stati individuati dai
nostri concittadini da decenni a questa parte. E infine deve farsi portatrice
di innovazione, di una forte azione di rinnovamento del fare politico, di contro
a logiche di apparato che non hanno
mancato di farsi sentire e di influenzare fortemente scelte importanti
determinando inerzie politiche di vasta entità.
Su cosa ci misureranno i cittadini? Sul fatto che
non dobbiamo dire e contraddire. La nostra democrazia interna deve essere
trasparente. Oggi e alle prossime elezioni primarie che pongono in gioco due
fattori: la partecipazione, e come la
stimoliamo: come facciamo vedere che cosa sia la buona partecipazione, come questa
sia la festa della democrazia. Per noi questo è partecipare: negoziare valori e
potere. Non essere liberi di applaudire il capo al comando. Al costo di
risultare irriverenti, se caso il capo possiamo anche contestarlo, metterlo in
discussione. Noi, forti di questa libertà, ci possiamo permettere di dire anche
al vincitore delle elezioni amministrative scorse, che la nostra è una buona
idea di partecipazione, non la sua.
Di conseguenza, ci siamo mossi per elaborare una
politica del Partito democratico nel
nostro Comune. In questo siamo stati supportati dal lavoro serio e di valore
dei nostri consiglieri comunali: Antonio Pagani e Vittorio Spinelli.
In questo frangente, siamo impegnati in un’opera di
proposta su vari problemi, di cui accenno solo i titoli:
·
il Piano di governo del territorio, per
l’adozione del quale ci siamo astenuti, e ora stiamo elaborando le
osservazioni;
·
il Palazzetto
·
i servizi al cittadino
·
bilancio e IMU
·
la comunicazione politica.
Mi accingo a concludere. Lo dico a tutti, e prima di
tutti a me stesso. Dobbiamo liberarci dalla sindrome del paria. Dobbiamo uscire
da una condizione di minorità politica, di minoranza culturale. Anche verso la
maggioranza che ci amministra.
Mandiamo a dire alla attuale maggioranza che si
regoli. Noi non pregheremo più. Non andremo a chiedere loro questo o quello.
Oggi non condividiamo con loro alcuna responsabilità. Se intendono uscire dall’isolamento,
che li porta a governare con il 23% dei
voti, a loro l’iniziativa. Noi abbiamo un ruolo altro: costruire un’alternativa
al loro modo di governare, con chi ci sta, alle nostre condizioni programmatiche
però, le condizioni di una forza politica democratica e riformista.
A noi dico che dobbiamo capire che è cambiata un’epoca.
Uscire sconfitti dalle elezioni comunali; aver dovuto subire l’iniziativa
populista del nuovo vincitore (almeno sino alla manifestazione di piazza
Garibaldi contro il festival neonazista), ci aveva consegnati in una posizione
di marginalità. L’epoca è finita anche perché disponiamo di un partito che ha
saputo assumersi le proprie responsabilità, che non si è nascosto, e anche
nella nostra città non deve stare con il cappello in mano. Non dobbiamo essere
subalterni ad altri. Non abbiamo più bisogno di vecchi e nuovi collateralismi. Andiamo
noi a dialogare con la società canturina, con i nostri bravi esponenti
istituzionali (consiglieri comunali, consigliere regionale, parlamentari,
esponenti di governo) e con i nostri iscritti (rammento l’ottima iniziativa con
i commercianti del centro cittadino avviata da Roberto Bianchi).
Dobbiamo dare maggiore proiezione pubblica al Partito
democratico in città: con il supporto di tutti, per allargare la partecipazione
e il confronto.
Chi voglia darsi da fare, chi voglia contribuire con
un’altra ricetta ad affrontare i problemi del nostro presente (una ricetta
riformista, seria e competente) è in questo partito che deve entrare e
militare, o è con questo partito che deve dialogare.
Dobbiamo essere noi a elevare il grado di
riflessione sulla politica e la cultura politica più in generale. Dobbiamo
potenziare le occasioni di confronto ma anche di formazione e di
approfondimento culturale (vedi le iniziative di CantùOggi).
Certo, continuiamo a sentire a Cantù i segni di una
rivolta, comprensibile rivolta, contro il sistema politico in generale;
irrazionale la definisce qualcuno. Ma è una rivolta vera e ha una propria
logica. Ritorno a citare Martin Luther King: “Una rivolta è in fondo il
linguaggio di chi non viene ascoltato”.
Noi abbiamo iniziato ad ascoltare questi linguaggi
(magari anche per criticarli, ma mai, mai per fingere di non sentire). Sono
segni che abbiamo registrato nel fenomeno leghista in passato, e ora sentiamo
tra i tanti elettori del M5S, ma anche tra i cittadini esasperati dalla burocrazia
e dalla crisi.
Dobbiamo dire a questi cittadini che noi vogliamo
rappresentare una soluzione ai problemi che li assillano, e che non siamo il
problema. E possiamo permetterci di dirlo proprio perché ci siamo messi in
discussione, ogni volta, non chiudendoci, non fingendo o dissimulando i nostri
tanti errori.
Possiamo dire loro, anche ora, che vogliamo
ragionare insieme. Che dobbiamo farlo insieme, senza che nessuno si senta
escluso.
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