Un fulmine a ciel sereno? Non proprio. Che le intemperanze
leghiste stessero andando al di là del sopportabile era evidente a molti. Pochi si sarebbero attesi un intervento tanto impegnativo, e serio, quale il
testo redatto da don Luigi Perego, della comunità pastorale San Vincenzo di
Cantù, sotto la direzione di Monsignor Giuseppe Longhi.
Tuttavia, la vicenda è clamorosa e trasuda di sufficienza e
intolleranza da ogni parte la si osservi. I consiglieri comunali della Lega
Nord di Cantù, al momento in cui un ministro della Repubblica varcava la sede
del Consiglio comunale lo abbandonavano, con dichiarazioni risibili del tipo: non
abbiamo nulla contro il ministro Kyenge, noi protestiamo contro il Sindaco che
non ci dà la parola, e così via.
Infantilismo? scarsità di direzione strategica? Dabbenaggine?
Limitatezza nel prevedere le conseguenze di quel gesto di scorrettezza
istituzionale? Non si sa, forse tutto insieme.
Sta di fatto che anche la Chiesa canturina non intende far
passare sotto silenzio la scorrettezza istituzionale e redige un documento che
parte proprio da tale dichiarazione: “Come comunità cristiana ci sentiamo
interpellati di fronte all’atteggiamento di alcuni nei confronti del ministro,
ospite del consiglio comunale della nostra città”. Non ci sono alibi. L’ospitalità
è un bene sacro, fa parte dello ius gentis, viene anche prima td tanti valori, e
fa parte dell’etica cristiana. Oltretutto, le motivazioni deboli e
abborracciate dei consiglieri leghisti vengono giustamente stigmatizzate da Don
Luigi Perego: “Le motivazioni portate a sostegno delle scelte fatte ci sembrano
fragili e potrebbero nascondere quella cultura del rifiuto e dell’emarginazione
che sta diffondendosi”. Chi ha pensato che la Chiesa, che pure si schiera con i deboli, debba pertanto
essere essa stessa debole e rinunciataria, sbaglia di grosso: giustificare i
gesti d’intolleranza con motivazioni false e forvianti rende tali gesti ancor
più intollerabili. Da qui la forte presa di posizioni della Chiesa canturina.
Il vero elemento critico che il testo considerato rivolge
verso la cultura dell’intolleranza dei leghisti canturini risiede in un affondo
che davvero dovrebbe far meditare chi oggi detenga le responsabilità di quel
movimento/partito politico: “La nostra amarezza trova le sue radici soprattutto
nella carenza dei valori cristiani che sono sempre stati il tessuto della nostra città, e che derivano
dal messaggio di Cristo: messaggio d’amore che sa abbattere le barriere e
costruire rapporti d’accoglienza e di fraternità per realizzare la “civiltà
dell’amore”, come chiedeva già Papa Paolo VI”. Carenza di valori cristiani. Detto ai
leghisti, che della difesa di tali valori, in altri tempi, per quanto
rivisitati in modo immaginifico, riempirono piazze e aule del Parlamento, segna
un punto di non ritorno. L’affondo è di quelli che potrebbero risultare ferali.
Ma il tema è da tempo oggetto di grandi riflessioni, e richiama l’argomento
dell’estremismo religioso, dell’estremismo politico e culturale tout court.
Data una cultura, vi sarà sempre chi vi si caratterizzerà per un eccesso di
diligenza. I leghisti che tanto criticano la Kyenge, al limite dell’offesa e
della persecuzione oltraggiosa, tra tutte le accuse di cui si convincono
oltremodo vi è quella di essere “buonista”: la sua cultura dell’integrazione
sarebbe troppo buona, e l’eccesso di bontà, come è risaputo, è la peggiore
delle violenze che si conoscano. Un tale Gesù il nazareno ne fece una personale
e ferale esperienza, a quanto pare. Quindi, se si vuole salvare la cristianità,
le nostre tradizioni e così via ragionando secondo il pensiero leghista, non il
corrispettivo pensiero buonista della Chiesa, ma un rude e feroce odio verso il
diverso sarebbe la migliore soluzione. In ogni ambito vi sono tali derive
deliranti e militanti, di solito si chiamano estremistiche, talebane, radicali,
integraliste e così via.
Sarebbe molto interessante che, a seguito di tale
sottolineatura, in casa leghista si elevasse un pensiero (se ne sono rimasti)
capace di meditare su tale cul de sac in cui si sono improvvidamente infilati
uomini di solito più ragionanti. Ricordo, tra tutti, un Edgardo Arosio festante
ed entusiasta assessore provinciale alla cultura genuflettersi davanti al
potente Marcello dell’Utri, in una festicciola organizzata a Villa Geno a Como
(tanto per capirci, il condannato per associazione mafiosa sì, la ministra dell’integrazione
no?). Quindi, di uomini di mondo nella Lega ne sarebbero rimasti, anche a Cantù,
ma quanto in grado di svolgere una riflessione autocritica?Se ce ne fossero, il Partito democratico canturino sarebbe disposto a parteciparvi, con spirito di ascolto e confronto.
Le condizioni per farlo ci sono tutte, e anche la base di discussione: l’ha fornita lo stesso don Luigi Perego.
Consideriamo ad esempio proprio il testo da lui stilato: “Pensiamo che siano altri i modi per difendere le radici religiose e civili della nostra città; innanzitutto cercando di vivere noi, fino in fondo, i valori cristiani e sociali che ci sono stati trasmessi, e testimoniarli perché possano essere la base per costruire una società multietnica”.
Di fronte a tale agenda sociale e culturale, pensiamo che la
Lega avrebbe molto da riflettere, e saremmo entusiasti di contribuire, anche
noi, a una riflessione seria e libera da domini e pregiudizi.
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