mercoledì 3 settembre 2008

Si vergogni chi promuove la delazione contro i clandestini

La delibera di giunta del comune di Cantù promuove la delazione: i buoni cittadini denuncino a un numero verde la presenza di stranieri non regolari clandestini; un numero verde garantirà loro l’anonimato. Come non sentire vergogna per questa ulteriore discesa verso l’inferno morale di una politica xenofoba. Ma ci sono altre considerazioni, più pratiche, da fare…

Dunque la stupidità ha partorito il proprio frutto. Politicamente parlando, la norma che la Giunta comunale di Cantù ha emanato e che prevede la delazione per denunciare la presenza di clandestini nelle abitazioni o nei luoghi di lavoro cittadino è proprio l’esempio lampante di un provvedimento tanto appariscente quanto pericoloso.
Pericoloso non tanto per gli intenti che ricerca (la delazione, la denuncia anonima dei “pericolosi clandestini”), né per i risvolti morali (pur gravi e preoccupanti) quali la disumanizzazione che persegue, ma per gli effetti pratici e non previsti che potrà determinare.
Come il più delle volte accade, quando si prosegue su base ideologica, ci si affida a una idea di fondo (“il clandestino è un criminale”) e poi ci si adegua su base logica a quell’idea: quindi io devo denunciare il clandestino.
Un’obiezione. Per quanto si sia ricercato di fare, in Italia essere clandestini non è un reato, ma un’infrazione amminsitrativa. Si è riusciti a fare della clandestinità un’aggravante di qualche altro reato (ad esempio la guida in stato di ebrezza, o il furto), ma l’intento che si perseguiva di rendere la clandestinità un reato non è riuscito. Certo, essere clandestini determina l’avvio della procedura amministrativa di espulsione; ma non è un reato, non si finisce in galera, come quando di evadono le tasse o si frodano i soci in una Spa.
Pertanto il presupposto giuridico che sta alla base del provvedimento della giunta leghista/ forzista è inesistente.
E tuttavia, si invita i canturini a denunciare (garantendo l’anonimato) la presenza di cittadini extracomunitari “clandestini”. Dove? Evidente: o in appartamenti in cui essi risiedono, o nelle aziende nelle quali lavorano.
E qui le cose si complicano. Infatti, affittare un appartamento a “clandestini” o farli lavorare in nero è sì un reato di favoreggiamento della clandestinità. E quindi, indirettamente, denunciare un non reato (la clandestinità degli stranieri presenti in Italia) si tradurrebbe di fatto nella denuncia di un cittadino italiano colpevole di favorire la clandestinità. È recente il caso di un amministratore della Lega costretto a dimettersi perché nella propria azienda sono stati pizzicati dei dipendenti in nero “clandestini”.
Per evitare questi rischi, è presumibile che gli italiani a rischio finiscano per non affittare più ai “clandestini”: il che forse potrà solleticare la soddisfazione dell’elettore leghista; ma a ben pensarci la conseguenza è consegnare a centrali illegali centinaia di migliaia di stranieri non regolarizzati, magari fondamentali per la produzione di tante aziende locali. Dove andranno a risiedere i “clandestini” che gli italiani non potranno più ospitare nei propri appartamenti? In luoghi certo poco raccomandabili, controllati da organizzazioni malavitose, le uniche a guadagnare non poco dal provvedimento leghista. Chi denuncerà la propria badante, se non è in regola?
Secondo corollario, se vogliamo anche peggiore del primo. Chi esclude che la denuncia del clandestino in affitto illegale non sia motivata più dal desiderio di colpire il vicino o la vicina di casa (italiani, italianissimi) che a quel clandestino hanno affittato l’appartamento, con i quali magari si è litigato in tempi lontani? In questo caso, la clandestinità diventa il pretesto per altri fini, e il clandestino lo strumento per una vendetta privata.
Non si pensi che questa obiezione sia peregrina. Provvedimenti di questa natura, volti a dividere i buoni e i belli dagli sporchi e cattivi, finiscono sempre per rendere più violenta, infastidita e rancorosa la società.
Avere promosso tale iniziativa non fa bene alla cittadinanza canturina, e se gli amministratori di questo paese non sentono un sentimento di vergogna per aver permesso tale provvedimento; se gli uomini di Chiesa non sentono che tale misura è colma, e che non c’è carità in quell’intento; se i cittadini non provano fastidio e tristezza per tutto ciò; ebbene, io che cittadino di Cantù sono, voglio dichiarare di vergognarmi per loro, di sentire che la misura è colma, di provare fastidio e tristezza per tutto ciò.

Filippo Di Gregorio
Pd di Cantù
Segreteria provinciale del PD di Como

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